Con l’ordinanza n. 3871/2018, la Corte di Cassazione ha stabilito che, nel caso in cui il lavoratore chieda un risarcimento del danno alla propria integrità psicofisica come conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi, il giudice del merito, pur nell’accertata insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall’interessato e quindi della configurabilità di una condotta di mobbing, è tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati, seppure non accomunati dal fine persecutorio, siano ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro, che possa essere chiamato a risponderne, nei limiti dei danni a lui imputabili.
Fonte: Corte di Cassazione