Il lavoratore crea “disservizio”: non è licenziabile prima del superamento del comporto. Una Corte d’appello territoriale ha accolto il reclamo proposto dalla società e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a un lavoratore e ha dichiarato il rapporto di lavoro ed ha condannato la società datoriale al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.
In particolare, la Corte ha premesso che era stato contestato al dipendente di avere utilizzato, per giustificare un’assenza per malattia, un certificato medico recante una falsa attestazione del medico sulla avvenuta sottoposizione a visita del paziente, nonché di essere venuto meno al dovere di diligenza a causa dello scarso rendimento determinato dalla eccessiva morbilità, avendo usufruito di 210 giorni di malattia nell’ultimo triennio, così da rendere una prestazione non proficuamente utilizzabile dalla società.
Ha aggiunto come la contestazione disciplinare e la lettera di licenziamento non mettessero in dubbio l’effettiva esistenza della malattia del dipendente ma si limitassero a contestare e sanzionare il fatto che il lavoratore avesse giustificato l’assenza avvalendosi di un certificato emesso senza la necessaria visita medica.
La corte di cassazione ritiene che il provvedimento della corte territoriale debba essere cassata con rinvio la sentenza d’appello che dichiara illegittimo il licenziamento disciplinare applicando la tutela indennitaria forte, laddove la contraddittorietà della decisione sul punto della sussistenza o insussistenza dell’addebito contestato, vale a dire l’utilizzo di un certificato di malattia recante false attestazioni, si riflette sull’individuazione della tutela applicabile ed è quindi assolutamente rilevante ai fini della decisione.
Il lavoratore crea “disservizio”: non è licenziabile prima del superamento del comporto.