18 Maggio 2024

Notizie dal mondo del lavoro, previdenza e fisco

Mettere sotto pressione causa stress

Numeri in crescita per lo straining. Lo racconta l’aumento delle pronunce giurisprudenziali di seguito alle cause di diritto.

Conflitti e persecuzioni, contesti lavorativi e disagi dei lavoratori: queste le motivazioni sul merito dei diversi fenomeni che spiegano lo stress lavoro-correlato.

La premessa

L’espressa tutela della salute psicofisica prevista dalla legislazione italiana ha indirizzato il legislatore ad introdurre, accanto al fenomeno del Mobbing,  la categoria giurisprudenziale dello Straining.

LoStraining – dal verbo inglese “to strain”, traducibile con l’espressione “mettere sotto pressione” e con significato molto vicino al verbo “to stress – è un concetto inizialmente emerso nell’ambito della psicologia del lavoro e successivamente utilizzato in campo giuridico.

Secondo lo psicologo che ha individuato tale fenomenologia, il Dottor Harald Ege, si tratta di una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno un’azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo. Tale azione che oltre ad essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante. La vittima si trova sempre, quindi, in una posizione di persistente inferiorità rispetto allo strainer e lo Straining viene attuato appositamente contro una o più persone, ma sempre in maniera discriminante.

La dottrina e la giurisprudenza hanno definito lo Straining come una forma di “mobbing attenuato”, dotato quindi di un grado di conflittualità lavorativa di minor intensità ma comunque fonte di responsabilità del datore di lavoro a titolo contrattuale ed extracontrattuale, rispettivamente ai sensi degli artt. 2087 e 2043 c.c. Si tratta di un fenomeno generalmente caratterizzato dall’istantaneità dell’evento: la condotta nociva datoriale si realizza con una azione unica ed isolata in grado di generare una situazione di disagio nel lavoratore, oppure prende forma attraverso più azioni tra loro non connesse.

Il riconoscimento giuridico dello Straining è dettatodall’intenzione di sanzionare comportamenti meno gravi ma comunque lesivi di un diritto soggettivo del lavoratore che il datore è comunque tenuto a garantire ai sensi dell’art. 2087 c.c. Infatti, le disposizioni contenute nel predetto articolo impongono al datore di lavoro l’adozione di tutte le misure idonee a tutelare la salute fisica insieme alla “personalità morale” dei propri dipendenti.

Differenze tra Straining e Mobbing

Spesso loStraining viene impropriamente utilizzato come sinonimo di Mobbing. Tradizionalmente la giurisprudenza definisce il mobbing come quell’insieme di comportamenti di carattere persecutorio che, con intento vessatorio, vengono messi in atto dal datore di lavoro, da un superiore gerarchico (“mobbing verticale”) o da colleghi (“mobbing orizzontale”), nei confronti di una vittima in modo reiterato, sistematico e prolungato nel tempo. In questo caso ricorrono quindi gli elementi di reiterazione e molteplicità delle condotte vessatorie; l’intenzione persecutoria dei comportamenti lesivi e il nesso causale tra gli atteggiamenti posti in essere dall’autore e il danno subito dalla vittima.

Lo  Straining, invece, si configura come una forma di molestia unica ed isolata atta a determinare effetti negativi costanti e permanenti nell’ambiente lavorativo. La giurisprudenza ha configurato il danno da Straining nei casi di demansionamento, isolamento professionale e relazionale, trasferimenti illegittimi, etc.

Appare quindi evidente che lo Straining, alla stregua del Mobbing, causa un danno esistenziale specifico al lavoratore dato il carattere persecutorio e l’intenzione vessatoria dei comportamenti messi in atto dall’autore. Ciò che differenzia i due fenomeni è l’elemento temporale: il Mobbing è l’esito di condotte reiterate nel tempo mentre lo Straining non richiede il carattere della continuità delle azioni vessatorie. Rispetto al Mobbing, quindi, manca la componente della continuità, ossia la condotta ostile non viene posta in essere in modo reiterato. Nello Straining la condotta vessatoria non è prolungata nel tempo: è sufficiente anche un’unica azione lesiva a condizione che i suoi effetti siano duraturi nel tempo.

Pronunce della giurisprudenza e casi di riconoscimento dello Straining

La nozione scientifica dello Straining è entrata nella Giurisprudenza italiana con la sentenza pronunciata dal Tribunale del Lavoro di Bergamo, 20 giugno 2005, n. 286, per mezzo della quale è stato riconosciuto il diritto al risarcimento del danno ad una lavoratrice vittima di isolate condotte ostili e non continue nel tempo. Secondo i giudici tali azioni, pur non essendo riconducibili al Mobbing, integravano lo Straining.

Tra le diverse pronunce sul tema vi è anche la sentenza n. 3291/2016, secondo la quale ai sensi dell’art. 2087 c.c. il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente tramite l’adozione di condizioni lavorative “stressogene” (cd. Straining), e proprio per tale ragione il giudice di merito, anche in caso insussistenza di una condotta di Mobbing, è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti – per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto – possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell’esistenza di questo più tenue danno.

Con la sentenza n. 3977/2018 la Corte ha qualificato la condotta del datore di lavoro non mobbizzante ma caratterizzata da Straining, ossia da quello stress forzato deliberatamente inflitto alla vittima dal superiore gerarchico con un obiettivo discriminatorio. Il particolare caso di specie riguardava i danni subiti da un’insegnante a causa delle condotte vessatorie quali la sottrazione degli strumenti di lavoro e la privazione di ogni mansione poste in essere da parte del dirigente scolastico. Gli ermellini hanno quindi riaffermato che lo “straining è una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie” e che “tali azioni vessatorie giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull’Art. 2087 Cod. Civ., ove si rivelino produttive di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore”.

La Corte di Cassazione, con la successiva sentenza n. 18164 del 10 luglio 2018, ha effettuato una ricognizione generale dei principi posti alla base dello Straining. Nel caso di specie una lavoratrice richiedeva, anche se a titolo di Mobbing, il risarcimento dei danni subiti a causa di un’unica condotta discriminatoria effettuata del suo superiore gerarchico. Nonostante il rigetto della domanda nei primi due gradi di giudizio, data l’assenza di prova della condotta mobbizzante perpetrata nei confronti della lavoratrice, la Suprema Corte ha ribadito che non è rilevante l’aver qualificato con ricorso iniziale la fattispecie come mobbing. I fenomeni si differenziano per la qualificazione di tipo medico legale ma sono entrambi riconducibili ad una lesione del diritto alla salute. Con tale sentenza la Cassazione stabilisce nuovamente che nell’ambito dello Straining i pregiudizi patiti dal lavoratore devono ritenersi risarcibili anche “in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio”.

Inoltre, la  Corte di Cassazione con l’ordinanza del 11 Novembre 2022 n. 33428 nel convalidare la progressiva evoluzione del tema nella giurisprudenza e nell’operare un’interpretazione estensiva dell’art. 2087c.c.,  ha delineato le condotte riconducibili nel concetto di Straining, evidenziando anche gli aspetti divergenti rispetto al Mobbing.

Di recente, la giurisprudenza di legittimità con l’ordinanza n. 29101/2023 ha nuovamente riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in presenza di condotte vessatorie riconducibili allo Straining. In tale occasione la Cassazione ha nuovamente affermato il principio secondo cui “lo Straining rappresenta una forma attenuata di mobbing perché’ priva della continuità delle vessazioni ma sempre riconducibile all’articolo 2087 c.c., sicchè se viene accertato lo Straining e non il Mobbing la domanda di risarcimento del danno deve essere comunque accolta”. Pertanto, sulla base di quanto stabilito dagli Ermellini, la domanda di risarcimento del danno deve essere accolta se viene accertato lo Straining e non il Mobbing: elementi quali la reiterazione, l’intensità del dolo o altre qualificazioni sono fattori che possono eventualmente incidere sul quantum del risarcimento.

L’attenzione della giurisprudenza sul fenomeno dello Straining rispecchia l’interesse spiccato per la tutela della salute psicofisica dei lavoratori all’interno dell’ambito lavorativo. Il progressivo riconoscimento di questo fenomeno da parte dei giudici ha ampliato in modo significativo la tutela dei lavoratori in caso di azioni vessatorie messe in atto dal datore di lavoro. 

Come si evince da alcune delle sentenze sul tema sopra trattate, l’accertamento delle condotte ostili garantisce sempre il riconoscimento del danno nei confronti del lavoratore, ai sensi dell’art. 2087 c.c.

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