La Corte Suprema di Cassazione, attraverso due circolari, ha chiarito alcuni aspetti relativi al fenomeno di “mobbing” che può nascere nei luoghi di lavoro. Per mobbing si intendono quei comportamenti e azioni persecutorie nei confronti di un particolare soggetto tali da provocare violenze psicologiche ed emarginazione dello stesso dal gruppo sociale di appartenenza.
La prima circolare n. 23928 del 25 settembre del 2019 riguarda il danno da mobbing e la Corte di Cassazione ha affermato che spetta al lavoratore fornire la prova dell’intenzionalità e del carattere vessatorio del datore di lavoro anche sulla base di presunzioni, purché siano precise, gravi e concordanti. Pertanto, non sarà possibile basare l’accusa su mere affermazioni lamentando che a causa del cambiamento della qualifica, dell’orario e della retribuzione, il lavoratore è stato costretto a dimettersi con riduzione dell’importo pensionistico.
Con la seconda circolare, invece, n. 24615 del 2 ottobre del 2019 la Corte chiarisce che non è corretto escludere la sussistenza del mobbing alla presenza di depressione del lavoratore vittima di un incidente stradale, piuttosto è da riconnettersi al comportamento vessatorio posto in essere dal datore di lavoro nei suoi confronti, rinviando nel merito alla decisione della Corte di Appello.
Fonte: Corte di Cassazione