L’attività di crowdsourcing è una attività tipica del mondo web ed è un fenomeno che si è evoluto negli ultimi anni con l’avvento dei portali e dei siti internet. In pratica fa riferimento a due concetti: quello di outsourcing, ovvero l’esternalizzazione di attività o di un processo aziendale, ed il concetto di crowd – folla, un insieme di persone che collaborano. Si affiancano a tale concetto quelli di open-source e open-call.
In questo modello di business l’impresa affida un progetto, la realizzazione e la manutenzione, di un bene immateriale, ad una community di utenti iscritti a titolo gratuito al portale. Tali utenti, sebbene iscritti, non sono singolarmente identificabili e/o non hanno un ruolo specifico nelle fasi di progetto. A differenza dell’outsourcing il soggetto a cui viene affidata l’attività è indeterminato. Alla community partecipano dei soggetti volontari portatori di un loro interesse nella materia, inizialmente senza alcuno scopo di lucro ma nel tempo hanno preso piede community i cui partecipanti percepiscono compensi.
Nell’interpello n. 12/2013 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali “ritiene che non sia necessaria l’autorizzazione preventiva di cui agli artt. 4 e 6, D.Lgs. n. 276/2003 per lo svolgimento dell’attività di crowdsourcing”
Le ragioni che portano a tale conclusione riguardano, oltre alla natura liquida degli utenti, la natura diffusa dei committenti che, interessati ai prodotti del sito, pagano “pro quota” il proprietario del sito stesso. Per tanto si configura una mera stipula di un contratto commerciale con l’esclusione della conclusione di contratti di lavoro, nel quale risulta evidente l’incontro tra domanda e offerta di prodotti.
Il Ministero precisa che – “Diversamente l’autorizzazione ex art. 4 è richiesta, ai sensi dell’art. 2, lett c), D.Lgs. n. 276/2003, nella misura in cui l’eventuale attività di consulenza di direzione si configuri quale attività di ricerca e selezione del personale “finalizzata, dunque, alla risoluzione di una specifica esigenza dell’organizzazione committente, attraverso l’individuazione di candidature idonee a ricoprire una o più posizioni lavorative in seno all’organizzazione medesima su specifico incarico della stessa…”.
In pratica l’autorizzazione preventiva di cui agli artt. 4 e 6, D.Lgs. n. 276/2003 risulta necessaria qualora l’attività di crowdsourcing sia indirizzata all’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. Attività quali ricerca selezione, somministrazione e ricollocazione del personale.
In conclusione il ministero ritiene che l’autorizzazione non sia necessaria per le attività di natura commerciale sopra descritte che fanno riferimento alle fattispecie dei contratti di compravendita e appalto.