27 Luglio 2024

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Disciplina delle mansioni: le novità contenute nel jobs act

Dopo quasi trent’anni dall’ultima variazione, con il predetto Decreto viene sostituito l’articolo 2103 del codice civile, rubricato “Prestazione del Lavoro”.

Di particolare interesse, sono le modifiche apportate al primo comma del predetto articolo, il quale, in base alla nuova formulazione, statuisce che “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.”

Sebbene venga confermata la regola generale già prevista nella previgente disciplina, viene eliminato dal disposto dell’art. 2103 c.c. la nozione di equivalenza delle mansioni.

Alla luce della normativa vigente, pertanto, il lavoratore potrà essere adibito, durante la sua vita lavorativa, a qualunque mansione riconducibile allo stesso livello e categoria legale delle ultime effettivamente svolte e non più soltanto a quelle equivalenti.

La formulazione della norma induce a ritenere, in assenza di ulteriori chiarimenti, che, al fine di stabilire la legittima assegnazione delle mansioni al lavoratore, assumerà un ruolo centrale la declaratoria e la classificazione del personale operata dai contratti collettivi, non essendo più necessario che le attività effettivamente espletate dal lavoratore.

Quanto all’assegnazione a mansioni inferiori, in precedenza vietata e ammessa solo in casi eccezionali individuati dalla giurisprudenza, si prevede che, in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore (quali ad esempio processi di ristrutturazione o riorganizzazione), lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale. Viene, pertanto, sancita la facoltà del datore di lavoro di modificare unilateralmente in peius le mansioni del lavoratore, nei limiti, però, di un solo livello di inquadramento inferiore.

In tale caso, laddove necessario, deve essere garantita al lavoratore una formazione per lo svolgimento delle attività che gli vengono affidate. Il Legislatore precisa comunque che il mancato adempimento dell’obbligo formativo non comporta la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni.

Ulteriori ipotesi di demansionamento possono, inoltre, essere previste dai contratti collettivi. Al riguardo occorre osservare che in sede di approvazione definitiva del Decreto, il Legislatore Delegato ha eliminato il riferimento ai contratti di secondo livello, pertanto, appare dubbio se la contrattazione aziendale possa individuare ulteriori casi di assegnazione a mansioni inferiori.

In tutti i casi, il demansionamento è sottoposto ad un vincolo formale in quanto deve essere comunicato per iscritto a pena di nullità e comporta il diritto del lavoratore alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, ad esclusione degli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa (si pensi ad esempio ad indennità di turno o di cassa).

Accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale, del livello di inquadramento e della relativa retribuzione possono comunque essere stipulati, nelle sedi indicate dalla legge o davanti alle commissioni di certificazione, al fine della conservazione dell’occupazione, dell’acquisizione di una diversa professionalità o del miglioramento delle condizioni di vita del lavoratore.

In tali ipotesi il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Novità sono previste anche con riferimento al termine decorso il quale l’assegnazione a mansioni superiori diviene definitiva.

Viene, infatti, precisato, rispetto alla precedente formulazione, che il periodo oltre il quale l’assegnazione a mansioni superiori diviene definitiva, viene fissato dai contratti collettivi o, in mancanza della statuizione del predetto termine da parte di questi, dopo sei mesi continuativi.

Dalla nuova formulazione del testo si evidenzia come il termine legale, elevato da tre a sei mesi , interviene solo in via sussidiaria qualora la contrattazione collettiva non intervenga in materia, rafforzando, dunque, la posizione delle organizzazioni sindacali in tale ambito.

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