27 Aprile 2024

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Lavoro occasionale accessorio/parte I

Il lavoro occasionale accessorio affonda le sue radici nella Legge n. 30/2003, c.d. Legge Biagi, e nel decreto attuativo della stessa, il D. Lgs. n. 276/2003.
L’obiettivo dell’introduzione di questo strumento di flessibilizzazione del mercato del lavoro era quello di fare emergere quelle prestazioni lavorative che normalmente venivano svolte “in nero”, innanzitutto perché si trattava di prestazioni esigue nel loro quantum temporale ed economico e poi perché spesso erano svolte da soggetti “disinteressati” alla regolarizzazione del rapporto e più preoccupati del beneficio immediato costituito dal compenso (per esempio gli studenti).

Altro obiettivo della norma era quello di tutelare soggetti a rischio di esclusione dal mercato del lavoro o con difficoltà di accedervi.
Uno dei problemi più rilevanti che si sono presentati fin dalle origini dell’istituto, ruotava intorno alla definizione dei concetti di “occasionalità” ed “accessorietà”.
Quanto al concetto di occasionalità ci si chiese qual era il limite temporale per evitare di sforare l’occasionalità di una prestazione.

In mancanza di parametri certi si rischiava di affidare ai singoli funzionari ispettivi il potere di interpretare di volta in volta se una prestazione era da ritenere occasionale o meno in funzione della durata temporale, con le immaginabili conseguenze sul piano sanzionatorio e processuale ed in spregio ai principi di certezza del diritto.
A ben vedere, invece, la risposta al quesito era insita nel testo di legge.
L’occasionalità di una prestazione risultava infatti, esclusivamente fondata sul parametro economico.

Mentre secondo l’originario art .70 del D. Lgs. 276/2003 il lavoro occasionale era quello di durata fino a 30 giorni nell’anno solare (parametro temporale) e con compenso fino a 3.000 euro (parametro economico), dopo le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 251/2004 e dal D.L. 35/2005 rimase solo il parametro economico, per cui fu chiaro l’intento del legislatore di volere abbandonare il parametro temporale della prestazione.
Tra i numerosi interventi di prassi sul lavoro occasionale accessorio è da segnalare a tal proposito l’interpello n. 37/2009 del Ministero del Lavoro che nel chiarire la portata del concetto di occasionalità evidenziò che era lo stesso legislatore, al comma 2 dell’art. 70, a dare la definizione di occasionalità (proprio nei termini sopra indicati).

Per quanto concerne la definizione del concetto di accessorietà, si ipotizzò che l’attività affidata ad un lavoratore occasionale accessorio non doveva essere quella normalmente svolta dal committente mediante il ricorso al lavoro subordinato, ma doveva trattarsi di attività marginali.
Anche questa interpretazione apparve oltre che restrittiva, non conforme alla lettera della Legge.

Infatti, da un’attenta lettura della norma notiamo come il comma 1 forniva una definizione di prestazione di lavoro accessorio indicando 2 requisiti:

  1. doveva trattarsi di prestazioni di natura occasionale (e quale prestazione è occasionale lo si evinceva dal comma 2);
  2. doveva trattarsi di prestazioni rientranti in una delle ipotesi descritte nello stesso comma 1 e nel comma 1-bis.

Se è vero che la Legge rischiava di consentire un utilizzo del lavoro accessorio oltre quanto realmente auspicato, è pur vero che non poteva essere risolto il problema mediante un “diritto” di matrice circolatoria con contenuti difformi dalla Legge.

L’impianto normativo così delineato è stato nel corso degli anni rinnovato con le modifiche apportate con il D.Lgs. n. 251/2004, la Legge n. 80/2005 (conversione del D.L. 35/2005), la Legge n. 133/2008 – c.d. Pacchetto Sacconi (conversione del D.L. n. 112/2008), la Legge n. 33/2009 (conversione del D.L. 5/2009), la Legge n. 191/2009 (Finanziaria per il 2010), interventi che hanno riformato gli articoli 70 e seguenti del D.Lgs. 276/2003 ampliando di volta in volta la platea dei destinatari e l’ambito di applicabilità del lavoro.

L’articolo 70 del D.Lgs. 276/2003 è stato da ultimo riformulato dalla c.d. Riforma Fornero, la quale ha apportato, tra l’altro, tre rilevanti modifiche:

  1. è stato eliminato l’elenco delle attività per le quali era possibile utilizzare prestazioni occasionali, per cui oggi possono svolgere lavoro occasionale accessorio tutti i soggetti in tutti i settori di attività (ovviamente in presenza degli altri requisiti);
  2. è stato riproposto il riferimento ad attività di natura meramente occasionale, con ciò dando un maggiore peso all’elemento della occasionalità: ciò, in mancanza di elementi discriminanti certi, creerà ulteriori questioni interpretative e rischi di contenzioso;
  3. il limite del compenso, precedentemente riferito a ciascun committente, è oggi da riferire al lavoratore, con ciò eliminando l’ipotesi di incostituzionalità che la dottrina aveva evidenziato per il fatto che un lavoratore poteva percepire fino a 5.000 euro da un numero potenzialmente indeterminato di committenti, raggiungendo un elevato introito reddituale non assoggettato a imposizione fiscale in spregio all’articolo 53 della Costituzione. Il limite di 5.000 euro percepibile annualmente da un lavoratore si abbina al limite di 2.000 euro in riferimento a ciascun committente.

 

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