Durante l’ultima campagna elettorale, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha trionfalmente rivendicato il successo dell’aumento delle retribuzioni nel 2023, che ha visto un incremento del 3%, il doppio rispetto all’1,5% di crescita registrato durante il governo precedente guidato da Mario Draghi. Questo dato, seppur reale, non rappresenta l’intera verità economica del paese. La Presidente, infatti, ha dimenticato di citare un elemento fondamentale: il tasso di inflazione nello stesso periodo, che è stato pari al 5,7%. Questo significa che, nonostante l’aumento nominale delle retribuzioni, il potere d’acquisto reale dei lavoratori è diminuito del 2,7%. In altre parole, l’inflazione ha eroso il valore degli stipendi, lasciando i cittadini con meno capacità di spesa rispetto all’anno precedente.
La situazione diventa ancora più preoccupante se si considerano i dati degli ultimi due anni. Nel biennio 2022-2023, i salari sono cresciuti complessivamente del 6%, ma nello stesso periodo l’inflazione è aumentata del 15%. Questo ha portato a una perdita del salario reale del 9%, evidenziando come l’aumento dei salari non sia sufficiente a compensare il crescente costo della vita.
Questi numeri mettono in risalto una realtà ben diversa da quella prospettata dalla Presidente Meloni. Sebbene i salari nominali possano sembrare in crescita, la realtà vissuta dai cittadini è quella di un potere d’acquisto in calo, con stipendi che non riescono a tenere il passo con l’inflazione. Questo scenario influisce negativamente sul benessere economico delle famiglie italiane.
Raccontare una verità a metà può essere una strategia elettorale efficace per ottenere qualche voto in più oggi, ma alla lunga non paga, soprattutto quando si tratta di questioni che sono facilmente verificabili dal cittadino alla cassa del supermercato.
Daniele La Rocca