3 Ottobre 2024

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I chiarimenti ministeriali in tema di procedura obbligatoria di conciliazione per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo

In tema è intervenuto il Ministero del Lavoro che, con Circolare n. 3/2013, esplica l’iter del procedimento conciliativo.
Innanzitutto il Ministero focalizza i requisiti soggettivi e oggettivi necessari per l’obbligatorietà della conciliazione.

    Quanto ai primi, ricorda che sono soggetti all’obbligo i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che abbiano almeno uno dei seguenti requisiti dimensionali:

  • a) occupino alle loro dipendenze più di 15 lavoratori nella sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento (5 se agricoli);
  • b) occupino più di 15 dipendenti nell’ambito dello stesso Comune (5 se agricoli);
  • c) occupino più di 60 dipendenti nel territorio nazionale.

Ai fini del requisito dimensionale va considerata la “normale occupazione” nei 6 mesi antecedenti il licenziamento (senza considerare temporanee contrazioni di personale), tenendo conto per i lavoratori part-time, intermittenti e ripartiti dell’orario da loro svolto in detto periodo (criterio della pro quota).

Quanto ai secondi, id est i motivi del licenziamento, sui quali la Commissione non può comunque entrare nel merito, il Ministero specifica che rientrano nel GMO di licenziamento le ipotesi di: ristrutturazione di reparti, soppressione del posto di lavoro, terziarizzazione ed esternalizzazione di attività, inidoneità fisica, impossibilità di “repechage”, chiusura cantiere in edilizia, licenziamento a seguito di provvedimenti amministrativi che influiscono sul rapporto di lavoro (es. ritiro patente), licenziamento cagionato da misure detentive o per cambio appalto. Sono invece esclusi i licenziamenti per superamento del periodo di comporto, e quelli collettivi ex L. n. 223/1991 (così, qualora il datore abbia già attivato la procedura di conciliazione e nell’arco di 120 giorni abbia poi provveduto a licenziare complessivamente almeno 5 lavoratori, la Commissione, nel ritenere inammissibile la procedura in commento, dovrà invitarlo ad attivare quella prevista dalla L. 223/1991).

In ordine alle modalità di attivazione della conciliazione, il Ministero significa che il datore che intende licenziare deve inviare una lettera raccomandata con avviso di ricevimento (ovvero mediante PEC) alla DTL competente per territorio in base al luogo di svolgimento dell’attività del dipendente, e trasmettere la stessa per conoscenza al lavoratore con stessa modalità, indicando l’intenzione e i motivi del licenziamento, nonché eventuali misure di assistenza per una ricollocazione del lavoratore.

La DTL, nei 7 giorni dalla ricezione, deve invitare, con lettera raccomandata o PEC, le parti a comparire.
La mancata comparizione delle parti, o di persone dalle stesse delegate, nel giorno e nell’ora indicati, produce la redazione di un verbale di assenza; l’assenza del lavoratore (o del suo delegato) abilita il datore di lavoro ad attuare il recesso.

La procedura conciliativa deve concludersi nel termine di 20 giorni dalla data di convocazione delle parti (non quindi dal ricevimento della convocazione); può essere sospesa, per un massimo di 15 giorni, in presenza di un legittimo e documentato impedimento del lavoratore (anche autocertificabile, da comunicarsi alla Commissione), quale uno stato morboso o un motivo familiare che trovi comunque una tutela prevista dalla legge o dal contratto.
Nel caso in cui la conciliazione abbia esito negativo, sia per mancato accordo, sia per assenza o per abbandono del lavoratore, che per mancato rispetto dei termini previsti per la procedura (i 7 e i 20 giorni), il datore può procedere al licenziamento.

Il recesso ha effetto dal giorno in cui la Commissione ha ricevuto la comunicazione datoriale circa l’intenzione di procedere al licenziamento stesso, senza che ciò pregiudichi il termine dei 5 giorni per l’invio dell’UniLav al Centro per l’Impiego, che decorrerà dunque dalla data di effettiva intimazione del licenziamento.

L’eventuale periodo di lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato; esplicano un effetto sospensivo solamente la maternità/paternità e l’infortunio sul lavoro.
Qualora invece le parti concordino una soluzione alternativa al recesso o giungano ad una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, la Commissione redigerà apposito verbale di accordo, avente valore di conciliazione ai sensi dell’art. 410 c.p.c. e quindi inoppugnabile, che potrà anche contenere rinunce e transazioni, anche di carattere economico.
Il Ministero precisa, infine, che la risoluzione consensuale raggiunta in tale sede non abbisogna di ulteriori convalide.

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