Come noto, la Commissione Europea, a febbraio 2023, ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per violazione del principio di parità di trattamento delle persone e dei lavoratori in materia di assegno unico.
In particolare, la Commissione ha evidenziato che l’Italia non rispetta, a suo avviso, le normative UE sul coordinamento della sicurezza sociale (Regolamento 2004/883) e sulla libera circolazione dei lavoratori (Art. 45 TFUE e Regolamento 2011/492).
La parte della norma che ha attirato la contestazione della Commissione è il fatto che possono essere beneficiari dell’assegno unico solo i soggetti che risiedano da almeno due anni in Italia e vivano nello stesso nucleo familiare dei figli.
Secondo la Commissione “questa normativa viola il diritto dell’UE poiché non garantisce parità di trattamento ai cittadini dell’Unione, configurando una discriminazione”.
Inoltre, ricorda sempre la Commissione, i regolamenti vigenti in materia vietano qualsiasi requisito di residenza per l’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale.
In ultimo, lo scorso 25 luglio la Commissione ha comunicato di aver deferito l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, confermando le contestazioni già mosse in precedenza, in quanto, come indicato nel comunicato della Commissione “la risposta (alla lettera del febbraio 2023, ndr) dell’Italia non ha tenuto sufficientemente conto dei rilievi della Commissione”.
Come ricorderà il lettore, l’assegno unico ha assorbito alcune misure di sostegno alle famiglie, tra cui le detrazioni fiscali per i figli fino a 21 anni e l’assegno per il nucleo familiare. Entrambe queste misure erano fruibili senza alcun requisito legato all’anzianità di domicilio nel nostro Paese, anche in riferimento al nucleo familiare.
Il parere della Cgil sull’Assegno Unico
Recentemente l’Area Stato Sociale e Diritti e dall’Area Contrattazione, Politiche del Lavoro, Politiche industriali della Cgil nazionale, ha diffuso delle interessanti proiezioni sulla perdita effettiva per i nuclei familiari colpiti dalla norma, che oggi la Commissione accusa di essere discriminatoria.
In particolare, ad esempio, “un lavoratore dipendente con coniuge e 2 figli di 10 e 12 anni residenti all’estero, che nel 2020 percepiva un reddito di 25.300 euro l’anno, ha potuto beneficiare dal 1° luglio 2021 al 28 febbraio 2022 di 160,83 euro mensili di Assegno al Nucleo Familiare (ANF) e di 122,00 euro mensili di detrazioni fiscali (61,00 euro per ciascun figlio). Per lui, il passaggio all’Assegno unico ha determinato una perdita mensile di 282,83 euro e di 3.393,96 euro l’anno.”
La posizione dell’esecutivo
La posizione del Governo italiano è stata esposta in un video della Presidente del Consiglio, che ha manifestato la sua preoccupazione, in quanto un allargamento della platea degli aventi diritto alla misura potrebbe portare a conseguenze sull’assetto dell’assegno unico, essendoci un evidente aumento dei costi.
E’ da evidenziare, infatti, che anche se la contestazione della Commissione riguardi solo i cittadini comunitari, l’Esecutivo italiano è preoccupato di una possibile estensione anche ai cittadini di paesi non appartenenti all’Unione; bisogna, infatti, tenere presente che l’Unione europea ha sottoscritto accordi con alcuni paesi terzi, per effetto dei quali i cittadini di questi paesi che lavorano legalmente in uno Stato membro dell’Unione europea hanno diritto alle stesse condizioni di lavoro dei cittadini del paese d’accoglienza.