Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con l’interpello n. 7 del 13 dicembre 2018 ha fornito una risposta ai chiarimenti richiesti dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri circa l’interpretazione dell’art. 70, comma 2, del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151. (Testo Unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità). Tale articolo, come noto, riconosce alle lavoratrici libere professioniste iscritte a un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza un’indennità di maternità “in misura pari all’ 80 per cento di cinque dodicesimi del solo reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali come reddito da lavoro autonomo”.
I chiarimenti richiesti dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri ruotano intorno al concetto di “reddito professionale”. Nello specifico viene chiesto al Ministero quale reddito deve essere preso in considerazione ai fini del calcolo dell’indennità di maternità nell’ipotesi in cui la lavoratrice libera professionista, dopo aver svolto continuativamente un’attività lavorativa (o aver conseguito un titolo di studio) all’estero decida di fare rientro in Italia.
Il reddito “pieno” e cioè quello effettivamente percepito e denunciato dalla lavoratrice autonoma o il reddito “ridotto” frutto degli incentivi fiscali previsti dalla Legge per i lavoratori dipendenti o autonomi, cittadini dell’Unione europea, che decidono di fare rientro in Italia dopo un periodo di studio o lavoro all’estero?
Nella risposta all’interpello il Ministero chiarisce che la lavoratrice madre libera professionista ha diritto ad un’indennità di maternità calcolata sul reddito “pieno”. È solo prendendo in considerazione il reddito effettivamente percepito che si realizzano, infatti, “le tutele individuate dal legislatore nei confronti delle lavoratrici madri”.
Fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali