24 Aprile 2024

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Jobs Act: le novità per lavoro intermittente e accessorio

Come anticipato nei nostri precedenti interventi, il lavoro intermittente è stato salvato dalla mannaia del governo che ha invece colpito brutalmente le forme contrattuali del lavoro ripartito e dell’associazione in partecipazione, definitivamente eliminate dal nostro ordinamento giuridico insieme alle collaborazioni a progetto (di ciò parleremo in un prossimo approfondimento.

Come accennato in precedenza, il lavoro “a chiamata” è stato risparmiato e la sua disciplina è stata, praticamente, “trasferita” dal D.Lgs. n. 276/2003 nel nuovo schema di decreto (artt. da 11 a 16), con piccolissime modifiche (per lo più lessicali) che lasciano completamente inalterati i capisaldi di questo istituto contrattuale.

Tra le novità, segnaliamo la previsione, di cui all’art. 1 c. 1 dello schema di decreto, che in mancanza di contratto collettivo, all’individuazione dei casi di utilizzo del lavoro intermittente provvederà il Ministero del Lavoro con decreto non regolamentare. Tale disposizione sembra volta a superare definitivamente l’inerzia della contrattazione collettiva nell’individuazione delle ipotesi di ricorso al lavoro intermittente.

Inoltre, nella nuova disciplina non troviamo più, in caso di rifiuto ingiustificato di risposta alla chiamata la sanzione aggiuntiva, del “congruo risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto di lavoro” (ex art. 6 c. 6, D.Lgs. 276/2003).

Anche se l’intenzione del Governo è quella di rendere il contratto a tempo indeterminato la forma “naturale” del rapporto di lavoro subordinato, il lavoro occasionale accessorio continua ad essere visto di buon occhio, soprattutto come efficace strumento di lotta avverso il “lavoro nero”.

Infatti, le modifiche apportate dallo schema di decreto sembrano volte a renderlo ancora più appetibile per i lavoratori occasionali, visto l’aumento del limite economico da 5000 a 7000 euro anche se, al pari della previgente disciplina, nei confronti dei committenti imprenditori o professionisti, le attività lavorative possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro.

Inoltre, diventa definitiva la possibilità di svolgere prestazioni di lavoro accessorio da parte percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito, sempre però nel rispetto del limite di 3000 euro annui.

Altra novità rilevante è il divieto di utilizzo del lavoro accessorio nell’ambito dell’esecuzione di appalti fatte salve specifiche ipotesi che saranno individuate con successivo decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentite le parti sociali. Tuttavia, è da segnalare che in tal senso si era già espresso il Ministero del Lavoro con la circolare n. 4/2013 e che, quindi, il Governo non ha fatto altro che elevare a rango di legge una precedente interpretazione non vincolante.

Stante quanto previsto all’art. 52 c. 1 dello schema di decreto, il valore nominale dei buoni lavoro, verrà aggiornato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le diverse attività lavorative e delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali.

L’art. 54 dello schema di decreto stabilisce l’abrogazione degli artt. da 70 a 73 del D.lgs. 276/2003 a partire dalla data di entrate in vigore del decreto in argomento, fermo restando “l’utilizzo, secondo la previgente disciplina, e fino al 31 dicembre 2015, dei buoni per prestazioni di lavoro accessorio già richiesti alla data di entrata in vigore del presente decreto”. (redazione 7grammilavoro.com – Daniele La Rocca)

Si rammenta che queste norme non sono ancora operative, nell’attesa che si pronuncino le commissioni parlamentari.

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