28 Marzo 2024

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JOBS ACT: la nuova disciplina dei licenziamenti

La nuova normativa disciplina le conseguenze del licenziamento illegittimo, e si sovrappone a quella preesistente, che rimane applicabile agli assunti fino alla data di entrata in vigore del decreto stesso, creando così un doppio regime, delimitato dalla data di assunzione del dipendente.

Campo di applicazione

Il nuovo regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo, disciplinato dal decreto, si applica a tutti i lavoratori con le qualifiche di operaio, impiegato o quadro, escludendo quindi i dirigenti, assunti a tempo indeterminato a decorrere dal 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del decreto stesso.

Nella versione definitiva del testo, viene precisato che le disposizioni in esso contenute si applicano anche nei casi di conversione, avvenuti successivamente all’entrata in vigore del Decreto medesimo, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato.

Sebbene la norma utilizzi impropriamente il termine “conversione” con riferimento al contratto di apprendistato, in assenza di ulteriori chiarimenti, sembra evidente la volontà del legislatore di far ricadere nell’ambito applicativo della nuova disciplina anche i rapporti di apprendistato che proseguono al termine del periodo di formazione.

Una specifica ipotesi è, inoltre, prevista nel caso in cui il datore di lavoro, a seguito di assunzioni a tempo indeterminato, effettuate dopo l’entrata in vigore del Decreto, integri il requisito occupazionale di cui all’articolo 18, co. 8 e 9 (ossia occupi più di quindici lavoratori nell’unità produttiva o nell’ambito dello stesso comune ovvero più di sessanta dipendenti nel territorio nazionale).

In questo caso, il licenziamento di tutti i lavoratori, anche se assunti antecedentemente alla data di entrata in vigore del decreto, viene disciplinata dalle nuove disposizioni, in conseguenza della/e nuova/e assunzione/i.

Tutti i datori di lavoro sono interessati dalla nuova disciplina, indipendentemente dal numero dei dipendenti occupati e dall’attività svolta, con alcune eccezioni per i datori di datori di lavoro che non raggiungono il predetto requisito occupazionale di cui ai commi 8 e 9 dell’art.18, e quindi i datori di lavoro con meno di 15 dipendenti (o meno di 5 se agricoli), a cui:

  1. non si applica la reintegra previsa nel caso di licenziamento disciplinare sorretto da motivo insussistente;
  2. le indennità stabilite dalla norma in caso di licenziamenti illegittimi o viziati (non quelle per licenziamenti discriminatori o nulli), o per la conciliazione di cui all’art. 6, sono ridotte nella loro misura alla metà di quanto previsto, e comunque con un limite massimo di sei mensilità.

Intimazione del licenziamento

Per espressa previsione della norma (art. 3 comma 3), per i lavoratori interessati da questa nuova disciplina, non si applica la procedura di cui all’art. 7 della legge 604/66, e cioè la norma che disciplina l’obbligo di comunicazione preventiva al licenziamento da effettuare alla DTL in caso di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Tale comunicazione, come noto, è obbligatoria per i datori di lavoro che rientrano nel campo di applicazione dell’art. 18, e avvia un tentativo di conciliazione. Quindi le risoluzioni per giustificato motivo oggettivo per tutti gli assunti dalla data di entrata in vigore del decreto, non saranno più oggetto di questo tipo di comunicazione. Il legislatore prevede comunque una possibilità conciliativa, di cui tratteremo più avanti.

Le nuove tutele per i licenziamenti

La norma ridisegna interamente le conseguenze nei casi di licenziamenti illegittimi, introducendo, nel nostro ordinamento, principi innovativi, contenuti nella legge delega, di seguito elencati:

  1. Esclusione per i licenziamenti economici della reintegra del lavoratore nel posto di lavoro;
  2. Previsione di un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio. Proprio questo concetto di crescita dell’indennizzo direttamente proporzionale alla durata del rapporto di lavoro, esplica il concetto di “contratto a tutele crescenti”, tanto enfatizzato dall’Esecutivo;
  3. Limitazione del diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato;
  4. Previsione di termini certi per l’impugnazione del licenziamento.

Pertanto, tenuto conto dei predetti principi e della disciplina contenuta nel Decreto Legislativo, si può affermare che la reintegrazione verrà riconosciuta solo nei casi di licenziamento discriminatorio, nullo ed intimato oralmente nonché nel caso di licenziamento disciplinare (giustificato motivo soggettivo e giusta causa) qualora il fatto materiale oggetto di contestazione sia insussistente. A tali ipotesi si aggiunge anche quella di licenziamento nel caso in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore.

Diversamente, in nessun caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, verrà riconosciuta la reintegra nel posto di lavoro, ma verrà erogata la sola indennità e ciò anche in caso di manifesta insussistenza del fatto.
La sola indennità verrà erogata anche in tutte le ipotesi di licenziamento disciplinare diverse da quelle in cui vi sia l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore.

Esaminato in generale il quadro normativo delineato dal Decreto Legislativo, andiamo ora ad analizzare nel dettaglio il nuovo assetto, in base alle violazioni accertate in giudizio.

Conseguenze dei licenziamenti discriminatori, nulli e intimati oralmente

La reintegra, come più volte annunciato, rimane un istituto legato ai licenziamenti che contravvengono disposizioni di legge. Rientrano in tale casistica i licenziamenti discriminatori( cioè basati, ad esempio, su ragioni di credo politico o fede religiosa), gli altri licenziamenti nulli in base a specifiche disposizioni legislative( quali, ad esempio, il licenziamento intimato per causa di matrimonio ed il licenziamento durante il periodo tutelato per la genitorialità) ed, infine, i licenziamenti intimati in forma orale.

In questi casi di licenziamento illegittimo, il giudice sentenzia la reintegra, e il dipendente deve riprendere servizio entro il termine di 30 giorni dall’invito del datore di lavoro. Oltre alla reintegra il datore di lavoro viene condannato a risarcire il dipendente del danno subito, con un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (e non più all’ultima retribuzione globale di fatto come nella formulazione contenuta nello schema di decreto legislativo), corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione.

Ricalcando le attuali regole della determinazione dell’indennità, viene stabilito che questa non può essere inferiore a 5 mensilità della suddetta retribuzione. Anche nella determinazione di questa indennità, come avviene nella reintegra dell’art. 18, ritroviamo l’aliunde perceptum, per cui il lavoratore ha diritto all’indennità al netto di quanto percepito nel periodo di sospensione del rapporto di lavoro per lo svolgimento di altre attività lavorative. Inoltre il datore di lavoro è condannato per il medesimo periodo al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

In ultimo, sempre in coerenza con l’attuale formulazione della reintegra, anche qui ritroviamo l’indennità sostitutiva di 15 mensilità che compete al dipendente in caso di rinuncia alla reintegra. La richiesta di tale indennità deve essere formulata dal dipendente entro 30 giorni da quello di deposito della pronuncia del giudice, o dal giorno dell’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla data di deposito.

La disciplina appena illustrata, ivi inclusa la reintegrazione, si applica anche nel caso in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore.

Conseguenze in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa illegittimo

Analizziamo ora nello specifico, le conseguenze di un licenziamento illegittimo per giusta causa o giustificato motivo. Qui il legislatore delegato ha individuato due fattispecie, la prima inerente al licenziamento non supportato da una causa idonea a giustificare la risoluzione del rapporto, la seconda da applicare in presenza di una motivazione giustificatrice del licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa insussistente, vediamo nel dettaglio:

  1. Licenziamento illegittimo per giusta causa e giustificato motivo (soggettivo e oggettivo): in questo caso il giudice riconoscerebbe il fatto che ha portato alla risoluzione del rapporto di lavoro non idoneo alla risoluzione dello stesso. In tali casi il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento, e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità. Tale indennità, che va da un massimo di 4 fino a 24 mensilità, è commisurata alla durata del rapporto di lavoro, in ragione di 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio del dipendente. Viene stabilito dalla norma che tale indennità non è soggetta a contribuzione previdenziale. Le indennità sono dimezzate in caso di piccoli datori di lavoro, come specificato in precedenza.
  2. Licenziamento disciplinare(giustificato motivo soggettivo e giusta causa) illegittimo per insussistenza del fatto contestato al lavoratore: in questo caso il giudice rileva che il motivo posto a giustificazione del licenziamento era insussistente, in buona sostanza inesistente, e quindi annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno di licenziamento fino a quella dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lett. c, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181. Tale disciplina, per espressa previsione dell’articolo 9 del Decreto Legislativo, non si applica ai datori di lavoro che non rientrano nel campo di applicazione dell’art 18 commi 8 e 9, della legge 300/70, e quindi i datori di lavoro con meno di 15 dipendenti.

Vizi procedurali nell’intimazione del licenziamento

In presenza di un licenziamento non discriminatorio, o comunque non nullo, sorretto da idonea motivazione, la cui casistica quindi non rientra tra quelle descritte nei paragrafi precedenti, ma comunque viziato nella forma per due casistiche definite dal legislatore, non si applica la reintegra, ma viene riconosciuto al dipendente un risarcimento economico.

Le violazioni procedurali a cui si applica questa disciplina sono:

  • il caso in cui il datore di lavoro abbia intimato il licenziamento violando il requisito della motivazione dello stesso (art. 2 c. 2 legge 604/66, “la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato”);
  • il caso in cui il datore di lavoro abbia violato la procedura di cui all’art. 7 della legge 300/70, e quindi in materia di licenziamento disciplinare;

In tale ipotesi, quindi, il rapporto di lavoro viene dichiarato estinto alla data di cessazione dello stesso, e il datore di lavoro viene condannato al pagamento di un’indennità, non assoggettata a contribuzione, commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, la quale viene computata in ragione di una mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 mensilità e non superiore 12 mensilità. Anche queste indennità sono dimezzate per i piccoli datori di lavoro, come specificato in precedenza.

La nuova conciliazione per i licenziamenti

Se, come detto, i licenziamenti a cui si applica la nuova normativa rimangono esclusi dalla procedura di conciliazione che si innesca con la comunicazione preventiva di cui all’art. 7 della legge 604/66, il legislatore delegato non abbandona però la strada della conciliazione, ma in qualche modo la potenzia. Infatti viene previsto dall’art. 6 del decreto che il datore di lavoro, entro il termine di impugnazione del licenziamento (60 giorni dalla ricezione della comunicazione del licenziamento da parte del dipendente), possa offrire al dipendente nelle sedi previste dalla norma vigente per le conciliazioni (art. 2113 c, 4 codice civile, art. 76 c. 1 Dlgs 276/2003), una somma la fine di evitare il giudizio. Questa somma viene determinata in un ammontare pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, e comunque in una misura compresa tra un minimo di 2 e un massimo di 18 mensilità. L’importo di tali indennità è dimezzato per i piccoli datori di lavoro, con il limite massimo di 6 mensilità (vedi paragrafo sul campo di applicazione).

E’ da sottolineare, che tale somma non è assoggettabile a imponibilità fiscale e previdenziale, e pertanto è netta. Rispetto alla versione originaria dello schema di decreto, si evidenzia come il legislatore delegato precisi che le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario.

Altra novità rispetto al testo iniziale, è rappresentata dall’introduzione di un nuovo onere di comunicazione posto a carico del datore di lavoro.

Si prevede, infatti, che al fine di monitorare l’attuazione della disposizione in commento, la comunicazione obbligatoria telematica di cessazione del rapporto è integrata da una ulteriore comunicazione, la quale deve essere effettuata dal datore di lavoro entro 65 giorni dall’interruzione del rapporto medesimo.

Tale ulteriore comunicazione indicherà l’avvenuta o non avvenuta conciliazione e la sua mancanza sarà punita con la stessa sanzione prevista per l’omissione della comunicazione obbligatoria di cessazione del rapporto di lavoro.

Si evidenzia, infine, che dalla formulazione del testo appare chiaro che il dipendente conserva il diritto all’indennità ASPI, avendo la conciliazione il solo fine di evitare il giudizio, e quindi non novando la motivazione che ha portato alla cessazione del rapporto di lavoro.

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