25 Aprile 2024

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DURC e agevolazioni contributive, le prime sentenze

Il Tribunale del Lavoro di Palermo ha riconosciuto all’impresa ricorrente, il diritto all’applicazione delle aliquote ridotte per assunzioni incentivate (art. 8, comma 9, Legge n. 407/90), condannando l’INPS al pagamento delle spese processuali.
Per un quadro più chiaro è bene procedere con ordine.

Secondo il comma 1175 “a decorrere dal 1° luglio 2007, i benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Successivamente il Decreto del Ministero del lavoro del 24 ottobre 2007 ha ribadito il concetto fissato dalla Legge 296/2006.

Tralasciando in questa sede la declinazione dei casi in cui può dirsi sussistente lo status di regolarità contributiva, secondo quanto espresso dagli atti normativi citati e dalle circolari INPS n. 92/2005 e INAIL n. 38/2005 entriamo nel vivo del problema relativo al diritto di fruizione di aliquote ridotte (specificamente l’art. 8, comma 9, della Legge n. 407/90) in presenza di irregolarità contributiva.

L’interpretazione (e il conseguente operato) da parte dell’INPS con riferimento al comma 1175 ed al D.M. 24/10/2007 ha messo in ginocchio tante imprese a causa della revoca dei benefici dovuta alla mancanza dei requisiti per il possesso del DURC; ciò anche in ipotesi di irregolarità solo temporanea, derivante ad esempio da ritardi nel pagamento della contribuzione, peraltro in alcuni casi imputabili ai mancati incassi di crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione.

Nel dettaglio, in situazioni di irregolarità contributiva (anche solo di un periodo di paga) da parte di un’impresa che ha in forza uno o più lavoratori con diritto ad aliquote ridotte, l’INPS invia delle note di rettifica per i periodi immediatamente successivi a quello in cui si è verificato il (temporaneo) inadempimento richiedendo il pagamento della contribuzione piena.

Secondo l’Istituto, solo qualora l’impresa provveda a regolarizzare l’insoluto entro il termine di 15 giorni dalla notifica della nota di rettifica, questa può essere annullata, e quindi può essere ripristinata la fruizione dell’aliquota agevolata.

Nel caso in cui al momento del pagamento dell’insoluto, siano trascorsi oltre 15 giorni dalla notifica di una o più note di rettifica, l’INPS considera non più annullabili tali rettifiche e quindi definitivamente perduto il beneficio per quei periodi.

In questo iter risulta palesemente violato, tra l’altro, l’adempimento previsto a carico dell’INPS da parte dell’articolo 7, comma 3, del D.M. 24/10/2007, secondo cui in ipotesi di irregolarità contributiva l’Istituto è tenuto a diffidare l’impresa al pagamento di quanto dovuto entro il termine di 15 giorni.
Di scarso pregio giuridico oltre che logico appare la tesi dell’INPS secondo cui la nota di rettifica avrebbe contestualmente le caratteristiche della diffida a regolarizzare (ex art. 7, comma 3, della Legge 407/90) e (in caso di mancata regolarizzazione) dell’atto di recupero dell’aliquota agevolata.

L’aspetto fondamentale della questione è relativo alla definitività del recupero contributivo.
In altre parole, qualora l’impresa presenta degli insoluti che regolarizza oltre il termine di 15 giorni dalla notifica delle note di rettifica, il beneficio relativo ai mesi per i quali le note di rettifica sono state emesse è perso definitivamente o può comunque essere recuperato e fruito una volta regolarizzata l’inadempienza?

La tesi dell’INPS, secondo cui il beneficio è definitivamente perso, è stata confutata dalla Sentenza n. 4795/2012 del Tribunale di Palermo, che ha senza troppi indugi bocciato nettamente la posizione dell’INPS.
Invero, secondo il Giudice di Palermo, l’elemento determinante in sede di giudizio è dato dalla prova circa la sussistenza dei necessari requisiti in relazione alla fattispecie di volta in volta invocata (sulla scia del consolidato orientamento di cui alle Sentenze della Corte di Cassazione n. 5137/2006 e n. 16351/2007).

Neppure è stata ritenuta influente, secondo il Giudice di Palermo, l’esistenza o meno della comunicazione prevista dall’articolo 7, comma 3, del D.M. 24/10/2007, in quanto questa non sarebbe idonea ad incidere sul regime sostanziale della pretesa contributiva e quindi del diritto all’applicazione di un determinato incentivo.
Nel caso sottoposto al Giudice di prime cure, l’impresa opponente è uscita vittoriosa dal processo avendo prodotto al Giudice la documentazione utile a provare la sussistenza del diritto alla fruizione delle aliquote di cui all’articolo 8, comma 9, della Legge n. 407/90 (in particolare l’attestato di disoccupazione del lavoratore e il libro matricola per evidenziare che che l’assunzione non era stata effettuata in sostituzione di lavoratori precedentemente licenziati o sospesi).

La sentenza del Giudice di Palermo rappresenta un’importante ed autorevole conferma della fondatezza delle critiche da tempo mosse dai Consulenti del Lavoro nei confronti della posizione assunta dall’INPS, che oggi nonostante questa prima pronuncia continua le attività di recupero dei benefici in modo (presumibilmente) illegittimo.

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